domenica 5 gennaio 2014

Verità e insuccessi referenziali in materia di dio solubile



Gli esseri umani prepotenti d'indole e dominati da un'abissale ignoranza espressiva che si tramuta - in conseguenza della lora indole - in prepotenza verbale, spesso sono visti come individui dotati di carisma.

Chi legge queste righe SA che non è così. Riflettevo però su questi tristi figuri dopo essere incappato su Cratilo, un pensatore greco - discepolo di Eraclito - il quale rimase così angosciato dalla frase (enunciato) "E' impossibile dire alcunché di vero su cose che mutano", che smise di parlare e si limitò a muovere un solo dito per esprimersi.

Le cose che mutano sono quotidianità quando si è circondati da Madre Natura (l'unica vera divinità POSSIBILE per noi Maestri della Notte). Le persone dotate di buon senso e razionalità riconoscono subito le cose che mutano, e hanno il coraggio di chiamarle "insuccessi referenziali".

Se io dicessi al famoso tenente Kojak che "ha un granello di forfora vicino al suo codino destro" pronuncerei un INSUCCESSSO REFERENZIALE, perché - non avendo codini - il tenente Kojak mi sparerebbe in fronte ancor prima di cominciare a cercare il fantomatico granello, visto che non avendo capelli, saprebbe già di non sapere dove cercare.
Un insuccesso referenziale è appunto questo. Una frase che si riferisce a qualcosa che non esiste.

Scrivo tutto questo, perché pensando a Cratilo, è stato inevitabile per la mia memoria, non riportarmi una celebre frase di Anselmo di Canterbury, inconsapevole campione d'insuccessi referenziali, che per dimostrare l'esistenza di dio scrisse questo (confesso che ho dovuto frugare in rete per trovare il testo esatto. Se avessi citato a memoria probabilmente avrei rovinato questa splendida perla di farraginosi pensieri che sto redigendo):

"Supponiamo che ciò di cui non si può concepire nulla di più grande non esista al di fuori delle nostre menti. Allora esso non è grande quanto sarebbe stato se fosse esistito. Quindi possiamo concepire qualcosa di più grande di ciò di cui non si può concepire nulla di più grande; il che è impossibile. Quindi la nostra supposizione di partenza è scorretta."

Nella seconda frase 'esso' è riferito a 'ciò di cui non si può concepire nulla di più grande', ma quest'ultima frase (enunciato) si riferisce nel reale a NULLA, ovvero Anselmo ha un bel cianciare ma descrive qualcosa come gli arpagoni d'argento sul mare d'Angrolia, ovvero qualcosa che non ha un riferimento REALE, nell'immenso di Madre Natura che ci circonda.

Il tanto decantato Anselmo è di un genere piuttosto estremo. Ma la gente di ogni tempo (come me nell'esempio con Kojak sopracitato), usa le parole in un modo che non chiarisce di che cosa stanno parlando.
Jean Piaget ha documentato che i bambini piccoli - per esempio - lo fanno frequentemente. Nei suoi scritti egli ricorda di aver sentito un bambino di otto anni descrivere il funzionamento di un rubinetto così:
"Questo e questo sono questo e questo, perché là è per l'acqua che scorre e qui si vedono dentro perché l'acqua non può scorrere. L'acqua è là e non può scorrere."
Jean Piaget sosteneva che i bambini - in qualche modo - pensavano che il resto dei loro riferimenti, passasse magicamente dalle loro parole alla testa del destinatario.
Secondo me qualcosa del genere accade anche nelle menti dei carismatici che ho cercato di descrivere all'inizio del testo.

L'esistenza di dio è un insuccesso referenziale. Tranne che per i carismatici.